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Lettura

Leggere Jane Austen oggi

di Giovanni Peresson notizia del 5 dicembre 2025

Questo articolo è una rielaborazione di quello omonimo pubblicato sul Giornale della Libreria di dicembre 2025. Se sei abbonata/o scarica qui la tua copia, oppure scopri come abbonarti. Se sei a Più libri più liberi, cerca in fiera la tua copia omaggio.
 

Nel duecentocinquantesimo anniversario della nascita di Jane Austen, a cui Più libri più liberi dedica questa edizione con il tema Ragioni e sentimenti, i suoi romanzi continuano a occupare stabilmente le classifiche italiane con circa 100 mila copie vendute ogni anno. Un fenomeno costante nel tempo che invita a domandarsi: quali bisogni soddisfa oggi questa lettura? Ne parleranno anche oggi in fierain Sala Vega alle 16.30Ben Pastor e Giovanni Peresson, con l’introduzione di Giovanna Zucca. Intanto, proviamo a darci qualche risposta.

Le classifiche e i dati di vendita non parlano solo di bilanci e risultati economici. Dentro quei numeri si muovono narrazioni, personaggi, autori, autrici e linguaggi che intercettano fantasie, pulsioni, interessi e territori simbolici: elementi che raccontano molto dei lettori, delle lettrici e degli umori che attraversano la società, spesso senza mostrarsi in superficie, ma lasciandosi intuire nei comportamenti d’acquisto, nei ritorni di attenzione, nei piccoli e grandi fenomeni di riscoperta che segnano il panorama editoriale contemporaneo. Quei numeri, apparentemente freddi, sono in realtà segni vitali di un ecosistema narrativo in movimento, che parla di desideri, di immaginari condivisi, di ciò che ogni epoca cerca nella letteratura.
 
Cosa ci possono dire allora – oltre a stupirci – le 45-50 mila copie in 52 edizioni diverse che ogni anno vende Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen in Italia? O le 97 mila vendute da tutti i suoi romanzi (in ben 212 diverse edizioni)? Sono numeri che, per dare un’idea più concreta, nel 2024 collocherebbero il solo Orgoglio e pregiudizio tra i primi cento titoli più venduti in assoluto; e lo troveremmo nelle prime settanta posizioni tra quelli di sola narrativa. Se poi considerassimo assieme i suoi sei romanzi, Austen occuperebbe una delle posizioni tra i primi venti titoli più venduti, un dato che parla da sé e che impressiona per costanza e durata. Mentre si collocherebbe un poco più sotto la decima nella sola narrativa. E teniamo presente che negli otto anni precedenti i suoi titoli si attestavano anno dopo anno, se sommati assieme, sempre attorno alle 110-120 mila copie, segno di una fedeltà di pubblico che attraversa generazioni e resiste ai mutamenti del gusto e della società.




Orgoglio e pregiudizio viene scritto nel 1796. Le stesure iniziali risalgono a qualche anno prima. Siamo nello stesso anno in cui Goethe scrive Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister. Jane Austen ha poco più di vent’anni. Era nata nel 1775 a Steventon, nell’Hampshire. Goethe ne ha quasi cinquanta. Una giovane donna e un uomo maturo tracciano due diversi percorsi di formazione e di educazione dell’individuo, due esperienze di maturazione che, pur distanti per geografia, cultura e classe sociale, condividono l’idea di un passaggio all’età adulta come momento di definizione morale e identitaria. Entrambi operano in decenni in cui stava prendendo forma il moderno romanzo borghese (Elinor e Marianne, prima versione di Ragione e sentimento, era ancora in forma di romanzo epistolare) e in cui si andava sviluppando quell’industria editoriale con cui Jane Austen avrà a che fare – non sempre pacificamente (vedi l’articolo Trattative, tirature, vendite: Jane Austen e gli editori, pubblicato sul sito ufficiale della Jane Austen Society of Italy a luglio 2019) – per la pubblicazione delle sue opere.
 
Un’industria editoriale che aveva bisogno di romanzi, come riflesso del vistoso mutamento sociale in corso. Tra il 1760 e il 1800 si stima che ne siano comparsi in Inghilterra ben duemila, scritti in gran parte da donne. Il genere, secondo la Monthly Review del dicembre 1790, è «quasi interamente monopolizzato dalle signore», tanto da indurre talvolta gli uomini a prendere pseudonimi femminili per assecondare il gusto del pubblico (prendo questa notizia da Michel Mercier, Il romanzo femminile, Milano, Il Saggiatore, 1976, p. 68; Monthly Review, 1749-1845, fu il primo periodico a offrire ai suoi lettori recensioni – e solo recensioni – dei libri che si andavano pubblicando).
 
Scritto in poco meno di un anno, Orgoglio e pregiudizio fu pubblicato (anonimo) solo nel 1813, quando finalmente trovò un editore – Thomas Egerton, libraio ed editore in Whitehall a Londra, nonché, con il fratello, banditore d’aste – disposto a puntare ancora sulla quasi sconosciuta scrittrice. Di Austen Egerton aveva infatti già pubblicato una prima versione di Ragione e sentimento, due anni prima, con un sostanzioso contributo economico dell’autrice. Pubblicazione che comunque aveva venduto tutte le 750 copie dei tre volumetti che componevano allora il romanzo, tanto da rendere necessaria un’edizione successiva nel luglio dello stesso anno. Uscì anonimo, come anonimi furono pubblicati diversi dei romanzi di Austen, con indicazioni come «by a Lady» o, più tardi, «by the author of Sense and Sensibility».
 
Il personaggio di Elizabeth Bennet, «nel percorso formativo tracciato da quasi tutti i romanzi» di Jane Austen, si muove «attraverso tappe successive, che assumono un carattere iniziatico, [che la istruisce] riguardo alle maniere più convenienti [da tenere] in ogni occasione». Ma – come continua Sara Poledrelli nell’introduzione a Orgoglio e pregiudizio (Feltrinelli UC, 2011, p. 43) – «l’apprendistato delle eroine assume [nei romanzi di Austen] un carattere ben più universale di quello solitamente rintracciabile nei romanzi di costume». Non più soltanto le maniere più convenienti da tenere in società, ma «lezioni valide per l’intera vita, che rendono le protagoniste veri e propri modelli» all’interno di una struttura narrativa che è quella del Bildungsroman, con i suoi percorsi formativi che tracciano la crescita psicologica dei protagonisti e in cui si riflettono, come in uno specchio, gli stessi lettori. È la trama a mettere in scena la crescita effettiva di protagoniste e protagonisti, il loro processo di formazione, la presa di coscienza delle proprie emozioni e dei propri limiti. In chiusura di Ragione e sentimento Elinore scopre di «esser nata per scoprire quanto fossero sbagliate le sue conclusioni», ammettendo così la necessità di un apprendimento continuo.
 
Wilhelm Meister è un giovane amante del teatro. La sua vocazione è quella di diventare attore e direttore di spettacoli. Per giungervi ha bisogno di un apprendistato fatto dall’abbandono della casa borghese, di viaggi e di incontri, di deviazioni e ritorni, di un continuo confronto con il mondo esterno. L’Elizabeth di Austen, invece, non ha bisogno di tanti percorsi, incontri, movimenti: deve «solo» portare allo scoperto la verità dei suoi sentimenti e imparare a nominarla. Quando finalmente c’è stata la spiegazione con Mr. Darcy, chiesto e avuto il consenso di papà Bennet, «Elizabeth era adesso sollevata da un gran peso, e, dopo mezz’ora di tranquilla riflessione in camera sua, fu in grado di raggiungere gli altri con sufficiente serenità. Tutto era ancora troppo recente per far esplodere la gioia, ma la serata trascorse tranquillamente; non c’era più alcun ostacolo concreto [da paventare] e il conforto della serenità e della familiarità sarebbe venuto col tempo» (cap. 57, p. 386).
 
Cosa ci dicono allora quelle quasi centomila copie che i romanzi di Jane Austen inanellano ancora oggi, anno dopo anno, nei dati di vendita? Quelle (quasi) 50 mila copie annue di Orgoglio e pregiudizio? Le altrettante persone che le hanno comprate e, auspicabilmente, lette? Siamo al polo opposto – o forse no – di quelle narrazioni di cui scriveva Alessandra Rotondo sul numero di ottobre 2025 del Giornale della Libreria (È l’ora dei romanzi di de-formazione?, p. 14-15)? Un polo narrativo interessante, in crescita, multisfaccettato, che affronteremo anche nel palinsesto del programma professionale di questa edizione della fiera. «Sempre più spesso – scrive Rotondo nel suo articolo – autori e lettori, autrici e lettrici, scelgono di dedicarsi a storie che non offrono rassicurazioni né modelli da emulare, ma che mettono in scena soggettività disallineate, realtà distorte, futuri incerti»: come se il novecentesco romanzo della crisi avesse finito per saturare gran parte dello spazio delle narrazioni, cercando nell’articolazione dei generi contenitori, linguaggi, codici ulteriori di esplorazione. «Più che romanzi di formazione, sono romanzi di de-formazione: racconti che non tracciano una linea di sviluppo, ma affondano nella complessità, nel fallimento, nell’opacità delle trasformazioni in corso».
 
Capacità e levigata qualità di scrittura cerca, chi legge nel 2025, Jane Austen? La possibilità di conferire dimensione psicologica alla caratterizzazione dei personaggi negli anni del nascente romanzo borghese? O, ancora, l’ironica levità con cui situazioni e personaggi vengono osservati e restituiti, in un equilibrio di misura e distanza che continua a esercitare fascino, anche a due secoli di distanza? Realismo antisentimentale, l’ha definito qualcuno, sottolineando la capacità dell’autrice di restare sempre un passo indietro rispetto alle proprie emozioni, senza tuttavia negar loro profondità, e di mantenere quella lucida ironia che fa dei suoi libri un esercizio di intelligenza narrativa.
 
Resta il fatto che i numeri di Austen rappresentano una quota non piccola (sempre a copie, e dei soli libri a stampa e sempre ammessa la legittimità di un raffronto del genere), capace forse di parlare più di quanto immaginiamo con queste storie che non offrono rassicurazioni né modelli da emulare, ma che mettono in scena «soggettività disallineate, realtà distorte e futuri incerti». Quasi che, sotto l’«assenza di linee di sviluppo», la «complessità» e il «fallimento» che abitano molte narrazioni contemporanee, restasse comunque un bisogno comune di attraversamento e di riconoscimento.
 
È su questo terreno che le molte linee del romanzo, passato e presente, si incontrano: nella richiesta di forme diverse per raccontare la trasformazione. Ed è qui, in questa intersezione di epoche, sensibilità e bisogni di senso, che il lettore e la lettrice del 2025 continuano a trovare in Jane Austen un confronto, una confidente, una misura: capace di tenere insieme ragione e sentimento, crescita e ambivalenza, offrendo una forma leggibile – e ancora sorprendentemente attuale – a quell’attraversamento della crisi che è, da sempre, l’esistenza.

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

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