Dal New York Times arriva un’interessante storia di come la scrittura può diventare un rifugio: protagonista Bhuchung Sonam, autore e editore di origini tibetane che, esiliato dal suo Paese, ha trovato un modo per tenere viva la letteratura tibetana degli esiliati.
Tutto ha inizio nel Tibet centrale del 1982 quando, a soli undici anni, è costretto ad abbandonare la sua terra colonizzata da tempo dalla Cina. Attraversando con il padre l’Himalaya fino al confine con il Nepal e poi l'India, il bambino non sa ancora che quella è l'ultima volta che vedrà la sua patria, sua madre e i suoi sei fratelli. Lasciato alle cure di un amico di famiglia, non molto tempo dopo perde anche il padre.
Sonam si ritrova così solo in un Paese straniero e la scrittura e la letteratura diventano per lui un’ancora di salvezza per sopravvivere alla perdita della famiglia e della sua terra. «La scrittura suggella il dolore,» ha raccontato al New York Times, «è un processo di negoziazione di questa serie di ostacoli e sfide dure e infinite che l’esilio ti sottopone».
Negli anni è diventato scrittore, pubblicando nove libri tra poesie e antologie, ma il suo contributo letterario più importante è stato quello di redattore e editore presso TibetWrites, una piattaforma online interamente dedicata alla letteratura tibetana.
Nata nel 2003, TibetWrites e la sua filiale editoriale Blackneck ad oggi hanno pubblicato più di cinquanta libri, diventando il motore di un piccolo ma crescente ecosistema letterario tibetano. L’idea di Sonam alla base della piattaforma e dello scrittore e attivista Tenzin Tsundue, co-fondatore, nasce dalla volontà di coltivare la tradizione letteraria del Tibet, preoccupati dalle scarse possibilità offerte agli scrittori tibetani e dalla quantità ridotta di testi tibetani laici disponibili in inglese. Le pubblicazioni, fino a quel momento, si concentravano infatti in gran parte sul buddismo, incentrando le narrazioni solo sulla spiritualità e lasciando poco spazio alle esperienze delle persone comuni e, soprattutto, dei tibetani in esilio. I due creatori lavorano entrambi gratuitamente.
Oltre a pubblicare opere originali di autori tibetani che scrivono in lingua inglese, Sonam si occupa anche di tradurre testi dal tibetano all’inglese, senza acquistare i diritti di traduzione. Un grosso rischio legale, ma c’è un motivo importante: evitare che il governo cinese possa arrestare gli autori che collaborano con gli esuli.
L’anno scorso, il lavoro di Sonam è stato premiato in Italia con il Premio Ostana, dedicato a coloro che aiutano a preservare la letteratura nelle lingue minoritarie.
Un’altra missione portata avanti da TibetWrites è quella di correggere lo squilibrio tra le traduzioni in tibetano e in lingue occidentali. Se da un lato l’Occidente ha tradotto molte opere dal tibetano, viceversa la situazione è drastica e sono molto pochi i testi che vengono tradotti in tibetano.
La piattaforma si sta espandendo sempre di più, con grande soddisfazione dei creatori che ne vedono il riconoscimento oltre i confini. In un clima politico in cui il governo cinese continua a reprimere il Tibet e la sua cultura, molti scrittori e intellettuali tibetani in esilio affermano che il lavoro di Sonam e Tsundue ha regalato loro un senso di «casa». «Non posso vivere la mia vita in terra tibetana», ha commentato Tenzin Dickie, scrittore e editore, «ma posso viverla nella letteratura tibetana».
© Immagine in header: Poras Chaudhary per il New York Times
Laureata in Lettere all’Università degli Studi di Verona, ho conseguito il master Booktelling, comunicare e vendere contenuti editoriali dell’Università Cattolica di Milano che mi ha permesso di coniugare il mio interesse per i libri e l’intero settore editoriale con il mondo della comunicazione digital e social.
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