Durante il Seminario di perfezionamento della scuola Mauri, Jesús Badenes (Planeta) sottolineava come una delle possibili ragioni del divario tra l’editoria portoghese e quella spagnola di fronte al Covid-19 fosse il differente sviluppo dell’e-commerce nei due Paesi iberici. Da quando è stato proclamato un nuovo lockdown nazionale il 15 gennaio 2021, si è aggiunta una nuova peculiarità: il Portogallo è l’unico stato in Europa, se non addirittura al mondo, in cui è possibile comprare un libro ovunque (supermercato, edicola, tabaccaio, cartolibreria, stazione di servizio) fuorché in libreria. E non solo: il Paese vanta anche il poco felice primato di aver fatto un cammino inverso rispetto a quello italiano e – si spera – continentale, vale a dire che è passato dal considerare i libri beni essenziali durante il primo lockdown al cambiare idea nel secondo. La situazione ha dell’incredibile: ripercorriamo quest’ultimo mese per tentare di sbrogliare la matassa.
Il Portogallo ha conosciuto un nuovo confinamento più tardi rispetto ad altre nazioni, ma la recrudescenza è stata maggiore: quasi metà delle vittime di Covid-19 dall’inizio della pandemia è stata contabilizzata a gennaio. Non c’è stato di che stupirsi quando il Presidente del consiglio, il segretario del partito socialista António Costa, ha deciso di chiudere tutte le attività non essenziali il 15 gennaio. Tra queste, però, sono state incluse le librerie. Il Paese ha così conosciuto una situazione simile a quella italiana di marzo: non era possibile acquistare libri nelle attività rimaste aperte, tant’è che nei supermercati era frequente vedere teli di plastica posti a loro copertura per evitare una concorrenza sleale con le librerie. A ciò va aggiunto che il Portogallo è l’unico Paese nel quale è vietato anche il semplice ritiro in loco di libri prenotati da casa. Il mondo dell’editoria, ma più in generale l’opinione pubblica, è insorto contro questa situazione, anche grazie all’iniziativa social #desconfinemoslivros (liberate i libri): per diversi giorni i maggiori quotidiani nazionali hanno posto al centro del dibattito il libro, la lettura e le librerie, non senza quella particolare ironia che rimane quando la situazione oltre che drammatica assume i toni del farsesco. Anche FEP (Federazione europea degli editori), in una lettera al governo del 2 febbraio, ha chiesto la riapertura delle librerie e il permesso di vendere libri nelle restanti attività. La questione della GDO è tutto fuorché secondaria: il Portogallo è il Paese in cui la quota di libri venduti attraverso il canale della grande distribuzione è la più alta in Europa, pari nel 2020 al 26,1% del mercato.
I numeri citati da APEL (associazione portoghese degli editori e librai) non lasciano spazio a dubbi: è la chiusura a causare concorrenza sleale e disequilibri. Il governo, sempre secondo l’associazione, lascia senza accesso ai libri l’80% della popolazione, dato che l’online rappresenta al massimo il 10% del valore delle vendite nel Paese, e viene usato da persone situate quasi esclusivamente nei distretti di Porto e Lisbona. RELI (rete delle librerie indipendenti, nata ad aprile del 2020) ha fatto notare un ulteriore elemento di criticità. Anche qualora venisse permessa l’apertura da un giorno all’altro, nota l’associazione, ciò implicherebbe abbandonare il regime di cassa integrazione semplificato: le vendite con ogni probabilità non sarebbero sufficienti per coprire i salari dei dipendenti in una situazione del genere, rendendo così una riapertura senza pianificazioni addirittura controproducente. Vi è inoltre un punto sul quale le due associazioni parlano all’unisono: gli aiuti all’editoria sono stati e sono ancora largamente insufficienti. La ministra della cultura, Graça Fonseca, ha precisato che il suo dicastero non aveva alcuna esperienza, infrastruttura o know-how nell’ambito degli aiuti sociali, il che spiega (ma senz’altro non giustifica) le gravi insufficienze, i ritardi e gli errori commessi nelle misure di sostegno alla cultura nel suo insieme anche negli ultimi giorni. Più che le legittime proteste e l’indignazione, però, hanno potuto le considerazioni di natura prettamente economica, che hanno fatto prendere alla situazione una piega del tutto inattesa.
Di fronte a una situazione di crescente sofferenza per l’economia nel suo complesso, il Presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa ha deciso di emanare un decreto per permettere la vendita di ogni tipo di bene disponibile nelle attività rimaste aperte. Occorre tenere a mente che il Portogallo è una repubblica semipresidenziale: il Presidente della Repubblica (eletto grazie al sostegno della coalizione di centrodestra) gode di limitati poteri esecutivi e le sue indicazioni devono essere recepite dal governo. L’11 febbraio, così, il Presidente del Consiglio Costa ha adoperato la curiosa formula secondo la quale, in ottemperanza al decreto, risulta proibito proibire la vendita di libri. Tutte le attività aperte hanno potuto rimetterli in commercio: peccato che tra queste non figurino proprio le librerie. In questo momento l’unica condizione per poter vendere libri, per quanto possa sembrare assurdo, è che si venda altro. Il colmo dell’ironia è che hanno potuto approfittare delle nuove disposizioni le librerie della catena FNAC, rimaste aperte anche nel secondo lockdown poiché in esse si trovano i beni davvero essenziali: non i libri, chiaramente, bensì gli elettrodomestici.
Dottorato in filosofia a Firenze, Master in editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Attualmente lavoro presso l'Ufficio studi AIE. Mi interessano i dati della filiera editoriale e le loro possibili interpretazioni.
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