In Italia arriverà per Einaudi il 12 novembre, ma in Uk e Usa l’attesissimo nuovo romanzo di Sally Rooney, Intermezzo, è uscito più di una settimana fa, rispettivamente per le case editrici Faber & Faber e Farrar, Straus and Giroux.
Scrittrice acclamata dal pubblico e dalla critica, voce dei Millennial, icona demure, con Intermezzo Rooney ha subito guadagnato la vetta delle classifiche: nel Regno Unito, dal 24 settembre a oggi, ha venduto oltre 40 mila copie, scrive The Bookseller, confermando l’impatto economico del lancio del suo precedente titolo (Dove sei, mondo bello), pur con qualche copia in meno e un prezzo di copertina leggermente più alto.
Il vero successo di Intermezzo, però, va oltre i numeri. Nel vasto mondo dell'editoria contemporanea, dove ogni settimana assistiamo alla pubblicazione di migliaia di nuovi titoli, poche autrici e pochi autori riescono a catalizzare l’attenzione con l’intensità di Rooney. Il suo quarto romanzo ha dimostrato ancora una volta che la scrittrice irlandese è un fenomeno globale, ma non solo per la qualità della sua prosa.
L'attesa spasmodica che ha preceduto l'uscita del libro, supportata da un’imponente campagna di marketing, offre la possibilità di fare qualche riflessione sul presente delle dinamiche editoriali, sul futuro del marketing librario e – forse – anche qualche considerazione più generale sul posto e il senso dei libri nelle nostre vite.
In Inghilterra, la celebre catena di librerie Waterstones ha organizzato delle vere e proprie veglie per attendere assieme alle lettrici e ai lettori l’uscita ufficiale del libro, con Sally Rooney stessa a dare dei reading d’anteprima. Il 24 settembre molti punti vendita dell’insegna hanno alzato le serrande col buio per consentire l’acquisto già nelle primissime ore della giornata. Non è mancato il merchandising, con l’iconico levriero blu stampigliato su magliette e tote bag assieme al nome dell’autrice e al titolo del libro.
Uno spiegamento di forze pari a quello dei lanci dei titoli della saga di Harry Potter, e simile, per volumi e azioni, a quello dei best seller romance che negli ultimi anni stanno trasformando le classifiche dei libri più venduti. Con la differenza che qui non parliamo di genere, ma di narrativa letteraria e blasonata.
Negli Stati Uniti la campagna promozionale è stata ancor più strategica. Farrar, Straus and Giroux (FSG), l'editore americano di Rooney, ha distribuito 2.500 copie gratuite, numerate e firmate a giornalisti, influencer e figure chiave del panorama letterario e culturale. L’operazione ha garantito che l'hype attorno a Intermezzo si diffondesse rapidamente su Instagram e TikTok, dove la copertina è diventata praticamente onnipresente.
Ma, soprattutto, ha garantito al libro l’attenzione particolare di personaggi influenti, ben oltre le stanze dell’editoria. Ayo Edebiri, coprotagonista della pluripremiata serie The Bear, la cantautrice Lorde e il regista Noah Baumbach (Storia di un matrimonio, Rumore bianco) hanno esplicitamente chiesto la preziosa copia staffetta a FSG, lasciando esterrefatta la direttrice della pubblicità Sheila O’Shea, che ha commentato «non l’abbiamo mai fatto prima».
Intermezzo è cool, Intermezzo è atteso da chi conta, desiderato da chi conta. Con Intermezzo, da aspirazionale il libro diventa più che posizionale: diventa cult.
Ma che i libri diventino degli oggetti di culto, fa bene o male ai libri e ai lettori? Su Rivista Studio, in un articolo molto interessante firmato da Davide Coppo, la scrittrice Olga Campofreda parla di feticizzazione del libro e mette in guardia dal performative reading: «Mostrare il libro come un tempo si faceva con i vinili, che si compravano per esporli e per moda, senza magari possedere nemmeno il giradischi. Mi sembra che oggi stia succedendo la stessa cosa con l’oggetto-libro». D’altronde, osserva ancora Campofreda, chi non è cresciuto abituato a essere circondato da libri spesso non si avvicina alla lettura perché non ci si sente a proprio agio: «Credo che rendere un libro trendy in qualche modo possa aiutare ad avvicinarsi alla lettura come attività , non solo come performance».
C’è poi un tema di visibilità dei titoli e di «spazio» per gli scrittori e le scrittrici che va considerato. Se da una parte le grandi iniziative di marketing permettono di avvicinare nuovi lettori al libro e di amplificare l’impatto di determinati autori e di determinate opere, dall'altra rischiano di polarizzare il campo da gioco in maniera sfavorevole, impoverente per il lettore. Come evidenziato da un articolo su Esquire, sempre citato da Rivista Studio, c'è il pericolo che un piccolo numero di titoli molto promossi monopolizzi il mercato, creando una «monocultura» letteraria dove i libri che ricevono più attenzione rischiano di oscurare tutti gli altri.
In effetti, il caso di Sally Rooney è esemplare. Il suo successo non si basa unicamente sulle doti narrative, pur indubbie, dell’autrice, ma anche sulla capacità dei suoi editori nel creare attorno a lei un'aura di esclusività e desiderabilità . Grazie alla promozione strategica, Rooney è diventata una sorta di simbolo culturale, con una fanbase non di soli lettori forti, ma anche di pubblico, molto più ampio e generico, che si riconosce nei valori, nello status, nei cliché incarnati dal possesso dei suoi libri più che dalla sua letteratura. Averli in casa, mostrarli sui social, accaparrarsi una copia in edizione limitata, è aggiungere un dettaglio all’articolazione della propria immagine, pubblica e privata.
E in Italia? L’arrivo di Intermezzo sarà altrettanto pirotecnico? Non potendo divinare i piani di Einaudi, quello che possiamo osservare è che, da un lato, anche da noi l’attesa del quarto libro di Rooney è forte, complici anche – ma ovviamente non solo – i contenuti social d’oltremare e d'oltreoceano a cui siamo stati esposti e ancora saremo esposti nelle prossime settimane. D'altronde, che la portata di fuoco delle campagne lancio anglosassoni sia diversa da quelle italiane è evidente e noto: 2.500 copie – quelle distribuite gratis dall’editore statunitense di Rooney – sono una tiratura più che rispettabile per molti editori italiani.
Viene anche da chiedersi se nel mercato globalizzato dei contenuti e dei desideri in cui tutti fluttuiamo, questi quasi due mesi di intermezzo tra l’uscita in lingua originale e quella in italiano non possano avere un qualche effetto sulle vendite del titolo.
All’ultima edizione del Seminario di perfezionamento della Scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri, lo scorso gennaio, Felicitas von Lovenberg, direttrice editoriale della casa editrice tedesca Piper Verlag, raccontava come in Germania «sempre più giovani vogliono leggere i libri in lingua originale, soprattutto se questa lingua è l’inglese, così come vedono le serie in lingua originale su Netflix». Sul mercato totale delle piattaforme digitali, d’altronde, ciò è particolarmente semplice: i lettori trovano i titoli in inglese prima e talvolta addirittura a prezzo inferiore rispetto alle edizioni tradotte.
E se il mercato e i lettori italiani hanno caratteristiche certamente diverse – e il pericolo di cannibalizzazione da parte delle edizioni in lingua appare al momento meno probabile e certamente meno impattante qui da noi – non è superfluo domandarsi quali possano essere gli effetti di queste campagne marketing così grandiose su mercati diversi da quelli per cui sono state concepite. Mercati dove approdano di riflesso, sospinte da trend e contenuti che si propagano su social sempre meno governati da principi di contingenza geografica.
Le vendite di Intermezzo nella prima settimana, intanto, danno un segnale chiaro: il libro non è solo un contenuto, ma anche un prodotto. E come qualsiasi prodotto, la sua fortuna dipende anche da una strategia di marketing ben orchestrata. La speranza è quindi che queste operazioni promozionali possano portare il libro in posti sempre nuovi, all’attenzione di un pubblico sempre nuovo, capace di attribuirgli significati sempre nuovi e per questo disposto a sceglierlo e a comprarlo, prodotto tra i prodotti.
Al momento però, il mercato editoriale, se non altro quello italiano, rimane trainato dai forti lettori e dalla loro «coazione a ripetere» l’acquisto delle pagine rilegate. Un comportamento che ha certamente a che fare col feticcio, con l’accumulo, col valore posizionale che attribuiamo al libro e pure col design d’interni delle nostre case Millennial. Ma forse ancora, soprattutto, col desiderio e col bisogno di storie che abbiamo. Â
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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