L’editoria moderna è nata e si è sviluppata in Europa. Oltre metà del mercato mondiale del libro è fatto da editori europei, nel senso che sono editori e gruppi editoriali che hanno la loro sede nel «vecchio continente» (55,6%). In termini di spesa del pubblico per acquisto di libri stiamo parlando di 24,1 miliardi di euro (ma mancano dal calcolo molte editorie: Polonia, Paesi baltici…), sopravanzando il mercato statunitense, che si ferma a 21,5 miliardi.
Fitto è l’interscambio di autori e traduzioni tra i Paesi, come la reciproca partecipazione a fiere e saloni: tra quelle professionali e quelle dedicate al grande pubblico, solo la rete europea ALDUS ne riunisce 18 in 14 Paesi, ma altre ancora ne esistono. Sul fronte della compravendita di diritti editoriali, la Francia ne acquista 7.461 dal Regno Unito, 738 dalla Germania, 397 dalla Spagna e 569 dall’Italia. A sua volta l’Italia ne vende 550 alla Francia, 434 alla Germania, 214 al Regno Unito, 1.117 alla Spagna. E si potrebbe continuare. Tutto ciò ha contribuito alla creazione di una identità europea, e di un «lettore» europeo. E non da oggi.
La questione – che resta necessariamente aperta – sarà ridefinire il ruolo dell’editore nell’attuale scenario continentale. E chiedersi se gli editori europei riusciranno a mantenere la loro funzione sociale e culturale nell’ecosistema disegnato dai player globali e dalle tecnologie.
Intervengono: Giuseppe Laterza (Laterza editore), Ricardo Franco Levi (Presidente Associazione Italiana Editori), Eric Vigne (Gallimard), Peter Kraus vom Cleff (Rowohlt),