Le storie fluiscono da un contenitore all’altro. La narratività si propaga su media e supporti diversi, talvolta si adatta come un fluido al recipiente che la contiene, talaltra articola se stessa in «recipienti» di volta in volta adatti ad approfondire questo o quell’aspetto della storia, questo o quel punto di vista, questa o quella sottotrama. O, ancora, agisce come un modificatore delle regole del gioco, dirompendo consuetudini e associazioni canonizzate e sperimentando linguaggi nuovi e nuovi schemi di fruizione. È la transmedialità, bellezza. Fenomeno noto nell’universo dei prodotti a vario titolo editoriali (dai libri ai videogiochi, dai character al licensing, dagli universi narrativi fantastici ai fumetti, passando per gli adattamenti cinematografici e televisivi).
Ma cosa cambia (e di fatto cambia qualcosa?) quando i libri – e più in generale le narrazioni – si confrontano con un panorama audiovisivo molto più complesso e frastagliato? Cosa cambia quando alla canonica contrapposizione tra autorialità cinematografica e prodotto televisivo mass market si sostituisce la gradazione di colori offerta, prima, dall’ondata delle «serie di qualità», poi approfondita, moltiplicata, ancora diversificata dall’offerta delle piattaforme on demand?
Non è facile rispondere. Quello che possiamo fare è richiamare alla mente degli esempi, cercare d’intuirci uno scenario. Sono passati pochi anni da quando ci chiedevamo se un certo tipo di racconto audiovisivo a puntate – fortemente autoriale, narrativamente complesso, appagante anche per un pubblico più esigente – sarebbe entrato in qualche modo in competizione con il romanzo. La risposta non è univoca né netta. Quello che, quantomeno a livello di tendenza, ci sentiamo di poter affermare, è che i prodotti narrativamente complessi trovano di solito posto all’interno di diete mediali altrettanto complesse. Vale a dire che, chi è fruitore di un certo tipo di serialità televisiva, se in parte sostituirà (banalmente per una questione di tempo) la lettura con la visione (o l’ascolto, o qualsiasi altro tipo di fruizione) più probabilmente arricchirà la sua routine mediale aggiungendo e non togliendo.
Concentrandoci poi un momento sul rapporto tra libri e serie tv, la storia, anche solo quella degli ultimi anni, rivela un sodalizio interessante. Il caso che fa scuola è quello di House of Cards – trasmessa per sei stagioni da Netflix – adattamento dell'omonima miniserie televisiva prodotta dalla BBC, a sua volta basata sulla trilogia di Michael Dobbs del 1989. Ma gli esempi sono tanti: dalla celeberrima Game of Thrones nata come adattamento televisivo del ciclo di romanzi Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin a Tredici, che dal libro di Jay Asher è approdata a sua volta su Netflix. Né mancano le narrazioni che arrivano dal mondo dei fumetti. Nel 2010, per esempio, fu la volta di The Walking Dead, bastata sull'omonima serie a fumetti scritta da Robert Kirkman, anche produttore esecutivo dello show, illustrata da Tony Moore e Charlie Adlard e pubblicata dalla Image Comics. In tempi più recenti sempre Netflix ha proposto al suo pubblico ben due serie ispirate ai personaggi di Archie Comic (e al medesimo universo narrativo, sospeso tra il teen, l’horror e il paranormale): Riverdale e Le terrificanti avventure di Sabrina.
Ma il continuum tra libri e schermi non si ferma alla sola narrativa. «Prendi in mano questa maglietta. Ti dà gioia? No? Allora è giunto il momento di ringraziarla, e di buttarla». Questa frase vi dice qualcosa? Esatto, stiamo parlando di Marie Kondo, autrice de Il magico potere del riordino, caso editoriale di qualche anno fa che prometteva di mettere ordine nelle nostre vite a partire dall’armadio o dalla borsa, insegnandoci a decide cosa tenere e cosa buttare. All’inizio di quest’anno Netflix ha rilasciato una serie in otto puntate che mostra Kondo mentre supporta varie famiglie statunitensi nell’imparare a scegliere, piegare e ordinare i vari oggetti presenti in casa. Un Sepolti in casa in salsa minimal (e molto kawaii), verrebbe da dire.
A casa nostra? Dai libri di Andrea Camilleri – che alimentano la serialità di lungo corso de Il commissario Montalbano – a L’allieva, medical thriller in onda su Rai1 tratto dai romanzi di Alessia Gazzola (24% di share per la seconda stagione), fino ai I bastardi di Pizzofalcone (penna di Maurizio de Giovanni, ciack di Carlo Carlei). Dalle regie autoriali di Romanzo criminale e Gomorra, fino a Suburra, la prima serie italiana di Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo. E L’amica geniale, ovviamente. Gli esempi non mancano, tutti di un certo pregio.
Quello che preme, anche in questo caso, è interpretare una tendenza. E capire come impatterà sul nostro settore, quali strade aprirà, quali problematicità, opportunità. A quali sfide ci chiamerà. Sul «Giornale della libreria» di ottobre 2018, Marco Vigevani, amministratore delegato di The Italian Literary Agency, commentava: «C’è un forte interesse dei megaplayer come Netflix o Amazon alle storie locali, per costruire o arricchire i cataloghi dei Paesi in cui vendono i loro abbonamenti, e questo avviene anche per l’Italia […] per cui, quando mandiamo in giro i nostri manoscritti, i libri dei nostri autori, già da un po’ consideriamo come interlocutori anche questa categoria di soggetti».
Storie locali: è proprio il caso di dirlo. Qualche giorno fa, con uno sciame di post, stories, tweet a social unificati, Netflix ha annunciato le novità a cui sta lavorando sul fronte delle serie italiane. Ci sarà Curon, un drama dagli elementi sovrannaturali: «La chicca da giocarsi alle cene: il titolo riprende il nome di un paesino del Trentino Alto-Adige famoso per la sua vecchia chiesa, completamente sommersa dal lago ad eccezione del campanile». Poi un prodotto ispirato a Tre metri sopra il cielo (sì, quello di Federico Moccia): «Sarà una serie, prima di tutto. Sarà ambientata sulla Costa Adriatica, e i protagonisti si chiameranno Sally e Ale, non Step e Babi». Ancora, un adattamento di Fedeltà di Marco Missiroli, candidato al Premio Strega 2019. Pare, insomma, che oggi più che mai i libri possano essere il primo motore della catena della narrazione.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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