Se l’audio digitale – tra audiolibri e podcast – è una delle principali tendenze editoriali degli ultimi anni, il «social audio» resta al momento un terreno incerto da definire, dove oggettive potenzialità e concreti esperimenti si alternano al timore dell’effetto «bolla pronta a scoppiare».
Clubhouse è nato negli Usa nel primo anno della pandemia, all’inizio del 2020; in Italia è arrivato circa dodici mesi dopo tra grandi clamori, alimentando tra le piattaforme una corsa all’implementazione di funzionalità simili che ha visto concorrere Twitter, Spotify, Reddit, LinkedIn e infine Facebook.
Nonostante una grande copertura mediatica iniziale – che ancora oggi si rianima ogni volta che un altro player tenta il suo ingresso nel mondo dei contenuti e dell’interattività vocale – Clubhouse è entrato presto nel primo cono d’ombra della sua notorietà. Complice anche il fatto che, almeno in Italia, il dialogo all’interno della piattaforma abbia finito per cristallizzarsi attorno a una meta-riflessione sulla piattaforma stessa.
Come abbiamo avuto più volte modo di osservare, il digitale è oggi più che mai nella fase anagrafica del contenuto. Normalizzato come «formato» tra le nostre pratiche di consumo, il digitale è oggi porta d’accesso al valore più che valore in sé. Detto altrimenti: le piattaforme – anche quelle che sembrerebbero mettere al centro del loro interesse l’interattività social – hanno capito che per crescere e consolidare il loro pubblico, per guadagnarne di nuovo e per convincerlo a tornare vincendo contro miriadi di opportunità a portata di tap, devono investire sui contenuti esclusivi. Sia che si tratti di crearne, sia che si tratti di distribuirne.
Ed è probabilmente in quest’ottica che Clubhouse ha stretto una partnership con TED Talk, il celebre format di conferenze della statunitense Sapling Foundation. L’accordo siglato – diventato operativo da pochi giorni con il lancio della serie settimanale Thank Your Ass Off – permette a TED di vendere pubblicità e sponsorizzazioni all’interno delle proprie conversazioni su Clubhouse. Il social però, almeno al momento, non riceverà alcuna percentuale, «accontentandosi» del traino di visibilità (e dall’afflusso di contenuti) garantiti da TED.
Non è chiaro se parte dell’accordo riguarderà anche la diffusione on demand dei palinsesti on air su Clubhouse. TED d’altronde con l’audio ci sa fare, e ha già ampiamente mostrato le sue grandi capacità con il podcasting: a febbraio di quest’anno ha lanciato il suo Audio Collective, affermando all’epoca che i suoi spettacoli venivano scaricati in media 1,65 milioni di volte al giorno, in «praticamente ogni Paese della terra». Andrà capito se Clubhouse vorrà continuare a fare dell’eventizzazione della fruizione audio e del «qui e ora» i suoi tratti identitari o se cederà alle lusinghe della distribuzione in differita.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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