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Innovazione

L’editoria green fa bene innanzitutto agli editori

di Bruno Giancarli notizia del 12 marzo 2021

«Editoria e ambiente. Qual è la prima cosa che ti viene in mente?». Supponiamo di dover rispondere a una domanda simile. Di primo acchito, penseremmo alla quantità di carta necessaria per produrre libri e alle conseguenti deforestazioni. Nel 2019 in Italia sono stati stampati 163 milioni di libri: con buona approssimazione, si tratta di circa 235 mila tonnellate di carta, oltre al costo energetico e al consumo di acqua. Va da sé che una priorità per l’editoria debba essere la provenienza da foreste eco-sostenibili o l’uso di carta riciclata. Non sembrano esserci studi aggiornati in Italia sulla sensibilità degli acquirenti su questo tema, ma se ci si sposta su un Paese vicino come la Spagna, si scopre per esempio che l’82% dei consumatori preferisce prodotti cartacei con certificazione forestale. Concentrarsi sul problema della carta è una risposta che di per sé è corretta, ma mette a fuoco solo una parte della questione. Per rendere sostenibile l’editoria, infatti, non è sufficiente concentrarsi meramente sulla produzione, occorre analizzare la filiera nel suo complesso.

Una questione da mettere in secondo piano, anche perché viene spesso affrontata in maniera tendenziosa, è quella della battaglia tra e-book e libri cartacei da un punto di vista ambientale. Persino il Guardian anni fa pubblicò un articolo riassumibile nella seguente tesi. Un libro costa all’ambiente circa 3 kg di CO2, un Kindle l’equivalente di 30 libri, da spalmare sui tre anni di ammortamento del device: i lettori forti, specie coloro i quali amano leggere di notte, dovrebbero semplicemente calcolare se il loro consumo annuale sia pari a 10 libri o meno per capire quale sia la scelta sostenibile. Lo stesso articolo evidenziava alcune criticità di questo ragionamento, che viene ciclicamente riproposto su internet con entità delle emissioni e relativi break even point variabili (si va dai 6 ai 12 libri l’anno da leggere su e-reader per raggiungere il pareggio energetico). Anche più recentemente la questione è stata riproposta, senza spostare l’ago della bilancia. Cercare un’equivalenza simile è in realtà riduttivo. Un ragionamento rigoroso dovrebbe considerare l’intero processo, dall’estrazione dei materiali fino allo smaltimento del prodotto finale, rendendo l’equazione sulle emissioni più complicata.

Calcoli simili sono stati tentati negli anni, ma la risposta che sembrano suggerire è che è la domanda ad essere mal posta. La battaglia tra cartaceo e digitale, se proprio vuole essere combattuta, non può prevedere che una delle due parti usi contro l’altra la bandiera dell’ecologismo, per la semplice ragione che non è disponibile letteratura scientifica aggiornata e che la variabili da considerare (si pensi soltanto ai nuovi device e alle nuove forme di lettura) sono semplicemente troppe. Già il fatto che si stia confrontando un prodotto riciclabile con uno non riciclabile, un contenuto con un contenitore, ma soprattutto due filiere dalle logiche completamente diverse rischia di invalidare l’intero ragionamento. Per quanto sia importante la tematica del consumo consapevole, non è la scelta della modalità di lettura il terreno su cui impostare il ragionamento, bensì quello dell’ottimizzazione dei processi esistenti. La domanda corretta non è «quale forma di lettura è più ecologica?» bensì «in quali fasi della vita del libro è necessario intervenire?».

Un primo aspetto da tenere in considerazione è il ruolo dell’e-commerce. Già uno studio pioneristico del 2011 aveva affrontato l’argomento, sostenendo che fossero preferibili le librerie digitali a quelle fisiche. Mancano però alcune variabili (come in parte indica lo stesso autore) che rischiano di invalidare la conclusione, senza considerare che il commercio online ha conosciuto mutazioni profonde negli ultimi dieci anni. A essere particolarmente impattanti sono politiche aziendali che incentivano acquisti dall’importo anche minimo, che portano con sé un’enorme movimentazione di colli, traffico nei centri urbani e moltiplicazione degli imballaggi. Non si parla soltanto di cartone (riciclato, in ogni caso) e Co2, ma anche di nastro in plastica per pacchi e di imballi con relativi riempimenti in soffiati, anch’essi in plastica. Utilizzare nastro derivato da carta riciclata consentirà di ridurre una piccola parte del problema. Ripensare questo aspetto della distribuzione, invece, sembra più difficile: in quanti, sia dal lato delle librerie sia da quello dei consumatori, sono disposti in nome dell’ambiente a rinunciare a formule che prevedono, per esempio, spedizioni gratuite a casa comprando due libri? Il problema ovviamente è generale e va oltre l’ambito dell’editoria, ma ciò non significa che anch’essa non debba cercare una soluzione.

Questa considerazione permette di capire che, dopo la produzione, il vero terreno su cui si gioca la sostenibilità dell’editoria è la logistica. Una rete efficiente presuppone meno trasporti e meno imballi. Una posizione simile non è distante da quanto due anni fa si leggeva nel Green Bookselling manifesto, promosso dall’associazione dei librai inglesi. Torniamo però ai 163 milioni di libri prodotti nel 2019: cellophanarne la maggior parte per impedirne il danneggiamento nei vari passaggi che avvengono tra magazzini della casa editrice, distributori, grossisti e librai implica la produzione di 40 chilometri di pellicole plastiche non biodegradabili. La scelta veramente ecologica, prima ancora della ricerca di materiali sostitutivi, è l’ottimizzazione delle tirature. Meno libri movimentati con le tempistiche sbagliate (e di conseguenza meno rimbalzi tra gli attori) non significano soltanto meno giacenze in magazzino, ma anche meno trasporti e meno imballi. È dunque un bene che tra il 2010 e il 2019 si sia ridotto il numero di copie immesse nel mercato di 50 milioni di unità.

Se si parla di ricalibrare le tirature si fa presto a pensare al print on demand e alla stampa digitale, ma non si può comunque prescindere dal rendere sostenibile la stampa offset, andando anche oltre la pur importante ricerca di metodi per abbassare la tiratura minima per avviare le macchine. Un aspetto cruciale della stampa offset è infatti l’uso di lastre e soprattutto di un’enorme quantità di acqua e di altri liquidi per lo sviluppo.

Da questo punto di vista, un caso virtuoso è quello di GECA. Stando ai numeri che essa stessa fornisce, l’uso di lastre tradizionali implica per aziende di dimensioni simili (la cui produzione di lastre cioè si aggira attorno ai 40 mila metri quadri l’anno) il consumo di 640 mila litri d’acqua, 8 mila litri di liquidi di sviluppo e 40 mila kWh in un anno. Pochi giorni fa GECA ha reso noto di aver adottato lastre tipografiche senza sviluppo, che rendono la stampa offset sostenibile e a basso impatto ambientale, senza pregiudicare la qualità del prodotto finale. È facile immaginare il risparmio energetico che l’implementazione di tecnologie simili su vasta scala implicherebbe.

Un ultimo aspetto, infine, riguarda le rese. Un libro reso non è soltanto un costo per tutti gli operatori, è un danno ambientale. Il movimentato deve percorrere due volte l’intera filiera editoriale, con emissioni di Co2, legate al trasporto su gomma, assolutamente rilevanti, senza contare gli imballi e i costi energetici da ripartire su copie la cui produzione è stata a tutti gli effetti uno spreco.

Riassumendo, affinché l’editoria diventi ancor più sostenibile non occorre soltanto utilizzare carta riciclata o certificata: è necessario calcolare bene le tirature, ottimizzare la logistica (e movimentare in maniera più intelligente ed ecologica i colli), ridurre le rese, rendere la stampa efficiente e adatta alle diverse esigenze. La morale è che per fare del bene all’ambiente l’editoria dovrebbe in primo luogo fare del bene a se stessa.

L'autore: Bruno Giancarli

Dottorato in filosofia a Firenze, Master in editoria di Unimi, Aie e Fondazione Mondadori. Attualmente lavoro presso l'Ufficio studi Aie. Mi interessano i dati della filiera editoriale e le loro possibili interpretazioni.

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