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Persone

Astrid Hoem: «Da sopravvissuta ho più paura della normalizzazione dell’odio che della violenza»

di Alessandra Rotondo notizia del 10 dicembre 2022

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«Le guerre non iniziano con le bombe, il terrorismo non inizia con le sparatorie. La violenza inizia con le parole». È cristallino il pensiero espresso da Astrid Hoem, ieri in dialogo con Loredana Lipperini a Più libri più liberi nell’incontro Quando le parole d’odio diventano omicidi. Sopravvissuta sedicenne alla strage di Utøya, oggi Hoem ha ventisette anni ed è una politica, leader dal 2020 di Arbeidernes ungdomsfylking, il movimento giovanile del Partito laburista norvegese.
 
Era il 22 luglio 2011 quando il terrorista di estrema destra Anders Behring Breivik colpì la Norvegia. Prima con l’esplosione di un'autobomba nel centro di Oslo che uccise otto persone e ne lasciò 209 ferite; poi, meno di due ore dopo, con l’attacco all’isola di Utøya, dove era in corso un campus organizzato da Arbeidernes ungdomsfylking. Indossando un’uniforme simile a quella della polizia e provvisto di documenti falsi, l’assassino giunse sull'isola e aprì il fuoco sui giovani partecipanti, uccidendone 69 e ferendone 110.
 
«Ma non voglio usare il mio tempo con voi per parlare di ciò che è successo quel giorno» precisa Hoem. «Quello che voglio raccontare è che il terrorista ha attaccato perché odiava le idee di eguaglianza che il campus di Utøya esprimeva. Uguaglianza di genere, sociale, religiosa, economica. Si era creato un'immagine mentale in cui le persone riunite a Utøya smettevano di essere ragazze e ragazzi di 15, 16 anni per diventare nemici politici».
 
Un’immagine che Anders Behring Breivik aveva costruito e alimentato per anni: almeno nove, per sua stessa ammissione, quelli dai quali stava preparando la strage. Peraltro preceduta da numerosi discorsi d’odio e post estremisti e violenti sui social media. Ma non è il silenzio, né la censura, che Hoem invoca come soluzione. «Penso anzi che il silenzio sia più spaventoso delle parole d'odio». La responsabilità che dovremmo tutti assumerci, anche individualmente, è proprio quella di non restare in silenzio davanti alle parole d’odio, pena diventarne complici.
 
Gli esseri umani – prosegue Hoem – hanno tra loro più elementi in comune che differenze, ma la classe politica ha una grande responsabilità nel disincentivare la polarizzazione. Dovrebbe farlo proprio a partire dal linguaggio, scegliendo le parole che usiamo per raccontarci in modo che ci proteggano dalla dicotomia del noi e del loro. «E invece in Norvegia ci sono una serie di politici che parlano di cose come "l'islamizzazione segreta", portando in parlamento – e quindi legittimando – teorie del complotto di cui ci si aspetterebbe al più di leggere nella sezione commenti di YouTube. È molto pericoloso».
 
Il timore, specifica Hoem, è che dare spazio politico alle visioni più estremiste le normalizzi. Anche perché gli estremisti tendono a usare la libertà di parola come uno scudo dietro il quale trincerarsi per proseguire con i loro discorsi d’odio negando qualsiasi contraddittorio. E allora la libertà di parola deve farsi parte del discorso, e deve essere esercitata proprio per controbattere alle posizioni violente. Hoem sottolinea quanto questo sia fondamentale sia a livello pubblico e politico che individuale: «Penso che tutti siamo più inclini ad ascoltare le parole delle persone di cui ci fidiamo. Per questo è importante dialogare anche con chi ha posizioni molto distanti dalle nostre, in famiglia, sui social network, con gli amici. È importante sempre e dovunque controbattere alle parole d’odio».
 
La tentazione, d’altronde, di bollare come altro da noi ciò che ci sconvolge, nella convinzione che prendere le distanze basti a proteggerci dall’orrore, è forte. Dopo i tre attacchi che hanno sconvolto la Norvegia negli ultimi dieci anni – oltre a quello di Utøya, l’irruzione armata alla moschea di Baerum nel 2019 e la sparatoria al London Pub di Oslo, locale frequentato dalla comunità LGBTQIA+, alla vigilia del Pride 2022 – l’opinione pubblica ha etichettato i terroristi come lupi solitari, casi isolati e devianti, diversi dai norvegesi.
 
«Ma Anders è cresciuto in Norvegia, è andato a scuola dove noi siamo andati a scuola, ha giocato a calcio dove noi abbiamo giocato a calcio» ammonisce Astrid Hoem. «Escludere lui e gli altri terroristi ed estremisti dal perimetro della nostra società ci preclude la possibilità di capire come questi fatti terribili siano potuti accadere».

Quando Loredana Lipperini osserva che alcune piattaforme digitali hanno caratteristiche tali da favorire come un humus fertile i discorsi d’odio, in particolar modo nella prospettiva di genere, Astrid Hoem risponde che il problema principale è che sono enormi conglomerati privati. «Bisognerebbe lavorare sulla democratizzazione dei social media, perché non è sano che una persona sola possa decidere senza contraddittorio e senza controllo come regolarne tante altre».

Hoem osserva poi che anche in Norvegia l’hate speech contro le donne è tristemente consueto, e che «se sei non bianca, non cristiana, magari visibilmente musulmana, la possibilità che tu venga attaccata, anche sui social media, cresce esponenzialmente. Ed è un problema enorme, perché disincentiva quelle persone dal raccontarsi, dal rendersi visibili negli spazi pubblici, dall’entrare in politica. È un problema enorme perché priva noi tutti di quelle voci, di quei punti di vista».
 
Per questo, ancora una volta, Hoem sottolinea quanto sia fondamentale entrare in dibattito con i troll, anche se non vogliamo, anche se è stancante e frustrante. «Da sopravvissuta ho più paura della normalizzazione dell’odio che della violenza. Abbiamo una grande responsabilità collettiva nel de-normalizzare le parole d’odio e gli estremismi, perché incidono sui nostri diritti, sui diritti delle minoranze. Perché condizionano tutte le nostre vite». 

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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