Camminiamo in equilibrio su un sottile filo di lana. Camminiamo su questo filo sottile non solo (e non tanto) perché il 2018 ha fatto segnare per i canali trade (librerie a conduzione familiare, catene, store online, banchi libri della Gdo) un -0,4%, dopo tre anni di ripresa del valore del mercato. Non solo (e non tanto) perché tra 2011 e 2018 il nostro settore resta più piccolo di quasi 70 milioni di euro (ne abbiamo recuperato poco meno della metà tra 2015 e 2017). Non solo perché i titoli che nel 2018 hanno superato le 100 mila copie di vendita sono meno di 20 quando erano ben oltre 30 nel 2011, mentre sono cresciute di quasi 90 mila quelli che vendono almeno 100 copie.
No! La nostra fragilità deriva da altro. Da quei 5 milioni di lettori che leggono 12 e più libri all’anno (4,5 tradotto in acquirenti), che generano da soli 54 milioni di copie vendute: il 45% del totale. Tradotto in un valore economico sono 686 milioni di euro. Sono i lettori forti, quindi, a tenere in piedi editori (piccoli e grandi), librerie, fiere e saloni del libro. Basta compiere una semplice simulazione per far emergere tutta la fragilità del settore. Immaginiamo solo che quei 5 milioni di forti lettori (+12 libri all’anno) diminuiscano del 5%. Invece di 5 milioni, sarebbero 250 mila lettori in meno: lo 0,9% del bacino di lettori con cui la filiera realizza il suo fatturato. Questi 250 mila lettori in meno (a parità di prezzo di copertina e di media di libri acquistati: 10,8 pro capite) generebbero 51,3 milioni di copie in meno e 651 milioni di venduto. Valori che rappresentano il 5% di copie in meno e 35 milioni di minori ricavi. Lo sottolineiamo: 5% di ricavi in meno generati dalla riduzione dello 0,9% (250 mila) dei forti lettori.
Poi certo questa fragilità strutturale – la nostra è tutt’altro che un’editoria mass-market e guardiamo sempre con sospetto i best-seller e le collane più mainstream e pop – deriva anche dal fatto che dopo il -0,9% del 2018 di un settore come quello di bambini e ragazzi – che negli anni precedenti aveva attenuato i segni «meno» o accentuato i segni «più» dei canali trade, il primo quadrimestre del 2019 fa segnare un ulteriore -1,2%. Dal 2011 questo comparto è cresciuto di oltre 30 milioni di euro, ma è aumentata la competizione e l’innovazione nella scrittura, nell’illustrazione, nei character, (ed è un bene) ma anche la possibile «confusione» tra gli acquirenti. Anche qui abbiamo – lo sottolineiamo da più anni – la crescita «zero» della popolazione, la denatalità, il fatto anche i millennials o la generazione «z», al contrario dei loro coetanei di poco maggiori, vedono i loro genitori con in mano il telefonino più che con i libri. Ricordate quelle indagini di Istat che mostravano come tra i 6-14enni leggeva di più chi vedeva entrambi i genitori leggere dei libri? Ecco. Ora è sempre meno così. Oltre al fatto che lo scorso anno, in questi stessi mesi , il best seller del quadrimestre era Storie della buonanotte per bambine ribelli, mentre oggi è Antonio Manzini: non è un caso che è la narrativa italiana a far segnare un +1,7% (mentre indietreggia la narrativa di autore straniero -1,4%).
Soffrono le librerie a conduzione familiare. Per la prima volta in questo quadrimestre vediamo superare la loro quota di mercato (24%) dagli store online (26%). E la Gdo rispetto al 2011 cala del 67%; il doppio di quanto fanno le librerie a conduzione familiare. Chi intercetta questo pubblico in uscita sono le catene e l’e-commerce. Meno best seller vuol dire meno Gdo. E trovarne è impresa sempre più difficile. Il best seller infatti è per sua natura una narrazione che riesce miracolosamente a tenere insieme categorie, gruppi sociali e di lettori diversissimi tra loro attorno a un bisogno di lettura che per un magico momento li accomuna. E in una società «liquida» per dirla in modo scontato, diventa sempre più difficile – in Italia in particolare – trovare fattori comuni. Anche perché il web, e il fatto che si parte sempre più dai motori di ricerca per trovare il libro da leggere, accresce e aumenta le curiosità pubblicate da case editrici sempre più piccole e specializzate.
E sotto la sottile linea rossa su cui sta camminando la terza o quarta editoria continentale abbiamo appena un 25% di cittadini che hanno il livello di competenze letterarie comprese da 4 a 6. Il più basso in Europa (e il più altro tra quelli che hanno livelli tra <1b e="" 2="" br="">
L’indagine completa è consultabile alla pagina dedicata nella sezione Presentazioni del sito.
Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.
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