È anche probabile che se considerassimo tutta quella produzione – non self publishing, i confini però possono essere labili – legata alla vendita e circolazione di plaquette, quella che si pone al limitare con l’editoria e la stampa artistica che non passa per i tradizionali canali di vendita, arriveremmo (penso) a valori anche maggiori.
Anche qui è la poesia italiana – come nella narrativa – a fare da traino. Rappresentava il 63,2% delle vendite a valore nel 2011 (il 60% a copie), e il 64,8% nel 2016 (61,2% a copie). Flette un po’ meno in questi anni, anche rispetto a quella degli autori stranieri (-9,2% vs -12,2%) quietatosi il fenomeno Szymborska (che muore, tra l’altro, proprio nel febbraio 2012; ma Bukowski, Hikmet, Salinas sono sempre in classifica assieme alla poetessa polacca). E la «poesia straniera moderna» proprio nel 2012 dà un contributo positivo del +9,9% al settore.
Sorprende il peso che nel settore hanno la poesia classica (39,8% a valore, 41,9% a copie) e quella greca e latina (12,8% a valore, 13,3% a copie). Rappresentando, così, oltre la metà del mercato della poesia: 52,6% a valore e un po’ di più (per effetto delle edizioni economiche) a copie, con il 55,2%. Effetto letture e consigli scolastici? Chissà!
Mercato di nicchia sicuramente: il 5-6% dei titoli, meno dell’1% a copie e valore (nei canali trade). Ma non conosciamo i dati di mercato relativi all’acquisto e alla lettura sui device digitali che ben si prestano alla fruizione del genere. Una nicchia in cui si assiste a una rinnovata vitalità che si esprime attraverso la nascita di nuove collane e l’esplorazione da parte dei marchi editoriali maggiori di questo segmento importante, magari non in termini assoluti di «mercato», ma certamente nel collegarsi a una tradizione importante nella storia della letteratura italiana del ‘900. Quando la poesia è stata anche parte costituente della storia della letteratura (e dell’editoria: Quasimodo, Montale, Ungaretti, e in anni più recenti Pasolini, Biagio Marin, Ada Merini), talvolta diventando fenomeno rilevante di mercato e di costume (come nel caso del Festival dei Poeti sulla spiaggia di Castelporziano). E che oggi si confronta con nuove forme di lettura in cui la voce diventa «supporto» di un ascolto (Bob Dylan, qualunque giudizio si voglia poi dare alla scelta dell’Accademia di Svezia) che ha nel fenomeno degli audiolibri – ma la poesia è stata ed è anche visiva – «una sponda». E un’altra nelle letture pubbliche, che hanno sostituito ciò che Castelporziano aveva, con troppo anticipo sui tempi, iniziato a scandagliare.
Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.
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