Qualcosa si sta muovendo nel mondo dell’editoria italiana. Non solo a livello di grandi gruppi, tra fusioni e acquisizioni, ma anche – soprattutto, per certi versi – nella moltitudine di piccoli e medi editori che, nel corso degli ultimi anni, hanno cominciato a sviluppare progetti innovativi. Che siano scelte di catalogo particolari, eventi ed esperienze pensati per coinvolgere il pubblico o la creazione di nuovi rami della casa editrice, ogni azione dà vita a un nuovo panorama culturale in cui queste realtà editoriali trovano dei lettori, pubblicano libri nuovi e particolari e, nel frattempo, rendono riconoscibile il proprio nome.
In questo solco si pone una casa editrice giovanissima ma particolarmente agguerrita, NN editore. Con ventuno titoli in catalogo ad oggi (di cui nove pubblicati quest’anno, con l’intenzione di arrivare a quindici entro la fine del 2016), una redazione composta da una decina di persone e lettori e librai molto appassionati, in poco tempo si è imposta all’attenzione dei lettori, anche grazie al successo inaspettato dei libri di Kent Haruf. Abbiamo parlato con Alberto Ibba, direttore, per farci raccontare i retroscena del progetto editoriale.
NN Editore ha festeggiato a marzo il primo anno effettivo di attività: come avete deciso di cominciare questa avventura? Quali sono le linee guida che vi siete dati?
Tutto è cominciato nel 2013: ci siamo trovati tra amici, tutte persone che lavoravano nell’editoria davent’anni, e ci siamo detti che era tempo di avviare davvero il progetto di creare una casa editrice insieme. Volevamo occuparci di identità – da cui NN, Nomen Nescio – e lavorare sulla contemporaneità, riflettendo sul fatto che non fosse necessario creare delle collane, quanto piuttosto dei progetti seriali, da sviluppare ogni anno secondo delle linee che ci avrebbero guidato nella ricerca di autori e titoli.
Quindi siete partiti subito con l’idea di abbandonare la collana come «contenitore editoriale».
Sì, per due ragioni. In primo luogo, le collane come le abbiamo intese fin quisono andate scomparendo, per cui oggi sono sempre più rari i casi in cui qualcuno si affezioni a una collana; e poiperché l’idea di serialità è un concetto che è esploso negli ultimi anni, e il consumo culturale si sta sviluppando con quel linguaggio e in quella direzione.
Con questa idea abbiamo ipotizzato le Stagioni, che sono la parte più di ricerca della politica editoriale; mentre le serie, come ViceVersa, partono dalla casa editrice, e cercano di creare un «laboratorio» attorno ad alcuni temi, che poi affidiamo agli autori che potrebbero aiutarci a svilupparli, che naturalmente sono liberissimi di esprimerli come vogliono. Secondo me parte della fortuna di ViceVersa viene proprio dalla commistione tra le nostre idee e le suggestioni che arrivano da loro. Anche perché, nel momento in cui coinvolgo un autore, lo chiamo più come intellettuale che come scrittore: voglio da lui delle idee che poi serviranno anche a noi, per capire come articolare meglio il progetto. È un ritorno allo scrittore come figura centrale sul piano culturale.
Come vi siete mossi a livello logistico? Siete distribuiti da Messaggerie per i libri cartacei e da Bookrepublic per gli e-book: come vi siete trovati?
Messaggerie fin dall’inizio ci ha accolto in modo molto positivo, nonostante all’epoca il progetto fossequasi tutto nella nostra testa. Con loro ho fatto due mesi di giri per le librerie a presentare il progetto, quando erano usciti solo Benedizione di Kent Haruf e Sembrava una felicità di Jenny Offill. È stata un’operazione che ha dato ottimi frutti: aver investito negli incontri con i librai è stato determinante. Abbiamo affrontato in maniera trasparente con Messaggerie anche il fatto che diverse librerie indipendenti – per noi importanti e di riferimento – non si rapportano direttamente con la distribuzione, e in questi casi teniamo noi i contatti con il punto vendita.
Con Bookrepublic per gli e-book abbiamo ottenuto risultati interessanti:a oggi abbiamo venduto complessivamente circa 6 mila e-book, anche grazie a tre operazioni promozionali fatte con Amazon. Non mi sembra – e ne sono sempre stato convinto – che questo vada a discapito dal cartaceo. Anzi, integra e apre prospettive diverse d’acquisto per il cliente. E abbiamo buoni risultatianche dallo store integrato nel nostro sito.
Il «salotto» NN al Salone del Libro di Torino di quest'anno
Aprirlo è stata una scelta abbastanza coraggiosa, considerando che i costi di avviamento non sono indifferenti.
Io l’ho voluto fare fin dall’inizio, perché credo che sia un canale dal quale passare per strutturarsi come una casa editrice solida. E i risultati mi danno ragione. Avere un proprio store permette di sviluppare iniziative di marketing e commerciali particolari, e permette anche di capire chi sono i nostri lettori, le loro opinioni, il valore che attribuiscono al nostro lavoro.
Un cambiamento di paradigma, perché vuol dire che il lettore forte riconosce le case editrici con un progetto editoriale ben delineato. Voi in effetti, per essere attivi tutto sommato da poco, avete un seguito (tanto sui social quanto a mezzo stampa) particolarmente importante.
È un segnale intenso. Non so che strana alchimia si è creata attorno a NN: credo che – provando a trovare degli incroci fra tutte le esperienze fatte quest’anno – un po’ siamo stati premiati dallo zoccolo duro dei lettori forti, che era pronto a recepire qualcosa di diverso nelle proposte editoriale di qualità che abbiamo fatto. E forse ha avuto un ruolo anche il nostro desiderio di accorciare la distanza tra editore e lettore. Per questo, ad esempio, abbiamo progettato il sito con una serie di elementi interni che potessero coinvolgere il lettore (materiali come le lettere scritte dagli autori e il songbook dedicato a ogni libro), perché trovasse una sorta di casa. Abbiamo cercato di ritrovare e proporre un ritorno a una dimensionefamiliare, a una sorta di informalità che, secondo me, oggi è il modo migliore per costruire una relazionecon i propri lettori. Non ci trinceriamo. Bisogna inventarsi un sacco di cose oggi per riuscire a entrare un po’ nella testa dei lettori.
Passiamo a Haruf, che in breve è diventato un autore di punta. Quali sono stati i passaggi e le iniziative più significative che hanno segnato il successo e la nascita della #Harufever?
Innanzitutto abbiamo fatto in modo che il libro venisse letto da più persone possibili che potessero fare da volano, in particolare nella filiera della comunicazione e distributiva; così siamo riusciti a portare in libreria gran parte della prima tiratura, di 650 copie, di Benedizione. Dopo di che il primo salto è arrivato, grazie al lavoro sulla comunicazione, col pezzo di Alessandro Piperno su La Lettura. L’uscita ha generato una vera e propria «onda» di attenzione.
A questo punto abbiamo capito che era necessario prendere qualcuno che seguisse esclusivamente i social network, e di nuovo c’è stato un altro salto nelle capacità di comunicazione, che ci ha permesso di passare dai 1.500 like su Facebook dei primi mesi ai 7 mila di oggi. A gennaio avevamo ormai capito che il ritmo di vendite di Haruf era più alto rispetto agli altri libri, ma non c’era ancora stato il salto vero e proprio, anche se eravamo già soddisfattissimi. Però Benedizione stava vendendo bene, così Canto della pianura ha finito per avere numeri di prenotazione più alti; e dato che avevamo pronto anche Crepuscolo, ci siamo detti che era il momento giusto per spingere sull’acceleratore. Siccome Haruf è mancato nel 2014 – anche se c’è chi ci chiede se è possibile intervistarlo… – abbiamo cercato di capire cosa potessimo organizzare per sostituire la presenza dell’autore in tutte le attività di presentazione. Abbiamo cercato un ulteriore «testimonial», e lo abbiamo individuato in Marco Missiroli; poi abbiamo coinvolto le librerie proponendo una «Haruf week», chiedendo ai librai dipartecipare con il solo compito di pensare a delle iniziative e inventarsi qualcosa di nuovo per coinvolgere il lettore. Noi abbiamo fornito le borse con la firma di Haruf e abbiamo inviato un video di sua moglie in cui li ringraziava per l’attenzione data ai libri del marito. In più, abbiamo deciso di fare un flash mob con un reading collettivo in Piazza Duomo a Milano, e per rafforzare l’iniziativa l’abbiamo collegato a una presentazione interna alla libreria di Feltrinelli Duomo, con Lella Costa. Da quella settimana stiamo vendendo 2 mila copie al mese per ciascuno dei tre titoli, e solo di Benedizione abbiamo stampato, a oggi, 18 mila copie. Abbiamo anche fatto, per la prima volta, degli spot pubblicitari su Rai3. Difficile quantificare la ricaduta commerciale, ma senz’altro qualcosa ha fatto.
Quali sono i vostri piani futuri? Come vi vedete nel panorama editoriale?
È una domanda difficile, perché si rischia di essere o presuntuosi o fuorvianti. Ad oggi il mercato – i lettori, i librai, i distributori – ci sta dicendo che facciamo parte di un gruppo di editori indipendenti che vanno da nottetempo a Iperborea, da Sur a Marcos y Marcos. Per quanto riguarda i progetti futuri, proseguiamo sulla linea tracciata quest’anno. Chiudiamo il 2016 con l’arrivo di autori più europei (il francese Tristan Garcia e l’inglese Rupert Thomson). Nel frattempo ci vengono proposti molti titoli anche dalle agenzie letterarie:e anche questo è un segnale di crescita e di nuove opportunità di sviluppo del nostro progetto, per cui vogliamo creare un catalogo vivo e un rapporto continuativo con i nostri autori. Abbiamo in progetto una raccolta di racconti all’anno e quest’anno sarà la volta di Antonio Franchini (Racconti postemingueiani); in più stiamo cominciando a pensare alla prossima serie. Faremo quasi certamente per Natale un cofanetto di Haruf, con un inserto e dei materiali extra. E il tema centrale della stagione 2017 sarà il concetto di «attributes», vale a dire quelle parole (aggettivi, elementi distintivi, caratteristiche) che nella vita ti vengono attribuiti e che ti condizionano l’esistenza.
Laureata in Lettere moderne (con indirizzo critico-editoriale), ho frequentato il Master in editoria. Mi interessa la «vita segreta» che precede la pubblicazione di un libro – di carta o digitale – e mi incuriosiscono le nuove forme di narrazione, le dinamiche delle nicchie editoriali e il mondo dei blog (in particolare quelli letterari).
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