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Mercato

I pop up store di Amazon arrivano in Uk. Ma non vendono libri

di Alessandra Rotondo notizia del 4 giugno 2019

In controtendenza con le 87 chiusure annunciate qualche mese fa, Amazon aprirà dieci pop up store in Uk: il primo, a St Mary's Gate, Manchester, ha inaugurato lo scorso 3 giugno. Ma imminenti tagli del nastro sono previsti anche in Galles e Scozia, nelle Midlands, nello Yorkshire e in South East England.

L’obiettivo dichiarato da Amazon è quello di offrire alle aziende che vendono attraverso la piattaforma di everything e-commerce la possibilità di proporre i prodotti anche in un contesto fisico di calce e mattoni, secondo le logiche dei modelli di business clicks and bricks, che miscelano elementi on e offline per potenziare e migliorare l’esperienza del cliente.

Non nuovo per la company di Bezos – che gestisce già svariati punti vendita fisici negli Stati Uniti: le insegne Amazon Go, la catena Whole Foods rilevata un paio d'anni fa, i 4-star (che espongono i prodotti con almeno 4 stelle sull’e-commerce), le libreria e i pop up, per l'appunto – l’esperimento britannico porterà nei pop up store del marchio l’offerta di un centinaio di produttori indipendenti: tra articoli per la casa e prodotti per la salute e la bellezza, cibo, bevande ed elettronica. A differenza di quanto avviene in Usa, per il momento non sembra che questi negozi venderanno anche libri.

Con sollievo di James Daunt, managing director della catena britannica di librerie Waterstones, che ha commentato la notizia dichiarando «il mio sonno sarebbe stato un po' disturbato se avessero deciso di aprire librerie». In ogni caso, il mondo del libro inglese ha accolto l’iniziativa con un certo sospetto. Meryl Halls, a capo della Booksellers Association, ha sottolineato quanto sia improbabile che Amazon riesca a convincere l’opinione pubblica di essere «il nuovo migliore amico dei rivenditori al dettaglio. Nonostante quest’ultima mossa appaia benefica [per loro], resta il fatto che la company ha svuotato le strade del Regno Unito [portando molti negozi alla chiusura], contribuendo al dimezzamento delle librerie indipendenti sul territorio. E continuando peraltro a beneficiare di un sistema di tassazione iniquo».

Il «retail guru» Nick Bubb ha definito il progetto «nient’altro che una buona trovata pubblicitaria per l’azienda». Arrivata peraltro dopo la pubblicazione di un report di Bloomberg nel quale si annunciava un’imminente riduzione su larga scala degli ordini effettuati da Amazon ai piccoli fornitori, con conseguente danno per questi ultimi. Una notizia parzialmente smentita dal colosso dell’e-commerce, che avrebbe precisato che – come d’abitudine – gli accordi commerciali con i partner continueranno a essere negoziati singolarmente.

Secondo l’Office for national statistics del Regno Unito, benché gli acquisti online aumentino esponenzialmente, lo shopping «fisico» copre ancora l’82% delle transazioni. Un contesto nel quale Amazon rappresenta già il 2% del mercato al dettaglio.

D’altronde, le aziende che vedranno le loro merci ricomprese nelle offerte dei pop up inglesi, sono company online che hanno raggiunto una certa maturità e che cercano, ora, per la prima volta, la legittimazione del negozio fisico. Parallelamente Amazon ha anche inaugurato un fondo d’investimento da 1 milione di sterline per aiutare le piccole e medie imprese che vendono sulla sua piattaforma a crescere grazie alle risorse umane: grazie ai dipendenti. L'investimento, infatti, contribuirà ad assumere più di 150 persone con contratto d’apprendistato.

Doug Gurr, country manager di Amazon per il Regno Unito, ha affermato che le piccole e medie imprese sono tra i partner commerciali più importanti per l’azienda. «Dando ai marchi britannici emergenti la possibilità di sperimentare la vendita fisica, di finanziare la formazione di apprendisti e di aumentare le esportazioni, Amazon si impegna a sostenere la crescita dell’intero comparto delle PMI, aiutandole a stimolare l'economia e a creare posti di lavoro in tutto il Regno Unito».

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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