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Innovazione

Cosa può imparare l’editoria dal cinema?

di Alessandra Rotondo notizia del 14 novembre 2016

L’editoria ha rappresentato per lungo tempo una delle frontiere della subscription economy. Una motivazione del fenomeno va sicuramente cercata nella periodicità di molti dei prodotti offerti dal settore. Una periodicità che, dalle formule tradizionali di abbonamento fondate sulla postalizzazione di copie fisiche, è stato forse intuitivo pensare di sfruttare e potenziare all’indomani della rivoluzione digitale. Eppure la fortuna dei servizi di abbonamento a contenuti editoriali ha conosciuto, almeno per il momento, fasi alterne: concentrandosi sulle offerte all-you-can-read, per esempio, non si può fare a meno di ricordare la chiusura di Oyster. O l’accoglienza meno dirompente di quanto ci si aspettava riservata a Kindle Unlimited. Di sperimentazioni e fermenti sul tema del subscription business model applicato all’editoria, però, continuano a essercene numerosi (dalle subscription box a Comixology Unlimited, passando per DisneyLife, volendo far riferimento solo ai progetti dei quali abbiamo parlato sul Giornale della Libreria in tempi relativamente recenti), segno che la corrente nella quale queste esperienze si iscrivono è lontana dall’esaurirsi e che la subscription war dell'intratteimento è ormai iniziata.

Uno dei timori che riguardano questi modelli è il calo dei margini per «prodotto consumato». Se l’industria del libro dovesse adottare il modello Spotify come standard per la diffusione dei propri contenuti, i ricavi per libro sarebbero necessariamente destinati a calare, così come sono calati, nell’industria musicale, i flussi d’entrata di etichette e artisti. La sostenibilità sarebbe appannaggio solo di opere (ed editori) capaci di muovere enormi quantità di «copie». Eppure all’editoria potrebbe andare meglio, con alcuni correttivi e guardando al cinema piuttosto che alla musica come modello, commenta Anders Breinholst su Digital Book World.

«In generale, il primo passo nel flusso di entrate del settore cinematografico è rappresentato dall’arrivo del film in sala. Dove, per una settimana o più, ciascuno spettatore è disposto a pagare un biglietto per assistere alla proiezione», argomenta. «Quando i film non sono più in sala vengono messi a disposizione per l'acquisto, e qualche tempo dopo possono essere anche noleggiati. A questo punto possono inserirsi nella catena di valore del prodotto attori come Netflix, con i propri servizi in abbonamento». Certo, conclude Breinholst, questo iter potrebbe non essere ottimale per i consumatori, che preferirebbero accedere subito al contenuto attraverso una molteplicità di formule d’offerta, ma assicura al settore un flusso di entrate potenziali capaci di sfruttare le diverse disposizioni all’acquisto e le diverse abitudini di consumo degli spettatori.

Prima dell’avvento dei servizi in abbonamento l’editoria non disponeva di una struttura elaborata per formalizzare un’offerta basata su diversi prezzi di vendita al pubblico. Ora che la struttura è più ricca, per tentare una strada simile è naturalmente fondamentale mantenere «affamati» i clienti corrispondenti a ciascuna fascia di prezzo e non «dar via» in un pacchetto in abbonamento un libro che l’utente sarebbe stato disposto a pagare come contenuto premium.

In maniera più netta e determinante di quanto non avvenga oggi, in futuro la vita economica del prodotto editoriale potrebbe allungarsi attorno a dei momenti cardine: l’uscita del libro in un’edizione pregevole, caratterizzata da un prezzo iniziale elevato e da una distribuzione legata a canali premium; dopo tre mesi la comparsa del tascabile, sconti sul prezzo iniziale e una distribuzione che coinvolga anche canali più popolari. Solo dopo sei mesi, poi, il titolo potrebbe cominciare a comparire nelle offerte dei servizi in abbonamento e essere reso disponibile per il prestito, sfruttando la coda lunga di quei lettori che non hanno ancora ceduto all’acquisto e incontrandone la disponibilità economica: sicuramente minore rispetto a quella degli utenti premium, ma spalmata su una fetta di pubblico più duttile e destinata a crescere nel tempo. E di sicuro non meno desiderabile per chi guarda al fatturato.

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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